Vennero li Bruculi… Catastrofi e miracoli a Bisignano nel XVI secolo

Il 1595 fu per la città di Bisignano, un anno contraddistinto da gravi calamità. Seppure sia nota la notizia di una catastrofica alluvione, come spesso accade, scarne sono le cronache dettagliate di quegli eventi, verificatisi tra l’estate e l’autunno di quell’anno. Il breve racconto, ritrovato casualmente tra le pagine di alcuni atti notarili, ci aiuta a comprendere meglio le dinamiche dell’alluvione; i danni causati dalla stessa su animali, cose e persone e ancora la reazione della gente davanti al fenomeno.

Veduta prospettica della città di Bisignano. Tratto da: Giovanni Battista Pacichelli, Il Regno di Napoli in prospettiva, Mutio, 1703.
Veduta prospettica della città di Bisignano. Tratto da: Giovanni Battista Pacichelli, Il Regno di Napoli in prospettiva, Mutio, 1703.

A informarci sull’accaduto è Pietro Paolo Mazzei, notaio in quegli anni nella città di Bisignano. È lui infatti, a compilare lungo i margini di un foglio contenuto in uno dei suoi registri notarili, la brevissima cronaca degli eventi; eventi a cui lo stesso notaio pone l’ambivalente dicitura di “accidente” e “maraviglia”.[1]

Gli eventi descritti da Mazzei, venati da una nota che ha dell’apocalittico, si svolgono tra luglio e settembre del 1595. Si tratta dapprima di un’invasione di locuste (vennero li Bruculi), a cui fece seguito a distanza di mesi, la tremenda alluvione, meglio nota alle cronache, e che colpì Bisignano oltre alcuni luoghi limitrofi.

Scrive il notaio: nell’anno che/ leggo questo che/ corre il 1595. Nel/ mese di Luglio a/ 12. Sono venute/ le locuste in tanta/ quant[it]à che non si/ crede da chi non/ l’ha vidute.

Le locuste cominciarono dapprima a danneggiare gli orti coltivati dalla popolazione (l’ortalizi/ di milloni, verdura, grano d’India) con grave danno per l’economia locale, scagliandosi quindi sui querceti. All’inaspettata e inspiegabile invasione, il popolo bisignanese, non poté far altro che invocare la protezione dei suoi santi e così, a seguito delle  varie preghiere fatto / alla processione del Smo Sagramto portato nel Castelio, si decise di ricorrere all’intercessione della Vergine mediante una successiva e doppia processione di penitenza colla statua di Maria// SSma Addolata. Una delle due statue custodite al tempo in città, ovvero quella dell’Episcopio, venne trasportata processionalmente in città, nelli Domenicani, nella torre del Sig. Loise, nella torre di Arena; mentre il simulacro dell’Addolorata presso i Padri Cappuccini, fu portato in processione sino alla piana di Soverano.[2]

Fu solo così (almeno a quanto asserito dal notaio), che finalmente si riuscì ad allontanare il flagello: doppo otto giorni, placata l’ira di/ Dio, si sono con rendimenti di grazie con ogni giubilo ritirate [le statue] nelle loro rispettive chiese, dopo avere/ avuto il miracolo.

Le devastazioni prodotte sul territorio dalle locuste, avrebbero però mostrato di lì a breve, conseguenze altrettanto rovinose. Coi danni subiti dalle querce e in generale dalla macchia locale, alle prime piogge il terreno dimostrò tutta la sua incapacità a trattenere le acque: A 3 7bre un diluvio da Domca mat.a/ con continuitioni senza interrottione sino al lunedì/ matino.

L’alluvione provocò seri danni al territorio oltre che la morte di tale Cerzano Giardino assieme alle sue sei scrofe.

Venne una piena a Moccone non ancor ricordata/ pigliava da Moccone di Gio: Rotilio Polito, sino al/ Giardino di Carlo ferraro; portò pini tanto grossi/ che non si potevano misurare, innumerabili, dal/ molino delli Zitelli sino a grate.

Furono dunque talmente numerosi i pini giunti sin dalla Sila, tramite le acque del fiume Mucone, che Dui anni Bisig.o/ li Luzzi, e la Regina vi campò di legna, travi, e/ Tavola. E ancora:  Li legna al/ Campo di Moccone sino a Soverano uno sopa l·/ altro, cosa incredibile.

Il notaio prosegue quindi con la conta di altri danni, come il cedimento del giardino di Natale Bonavita che precipitò sino a raggiungere il mulino di Giovanni Battista Gallo; oltre ad informarci di come si ritrovarono nel fiume Crati, più bovi della Sila, portati a valle dalla piena. Il numero di foglie, di arbusti e olivi, portati sino al mare dal Crati, dovette essere talmente elevato al punto tale che Corse l’armata di Corigliano creden-/do esser naufragati li Turchi.

[1] ASCS, sezione notai, Pietro Paolo Mazzei, indice degli atti, f. 158.

[2]  Sia la cattedrale che la chiesa dei cappuccini (sita presso il cimitero) oggi custodiscono, ciascuna al loro interno, una statua della Vergine Addolorata.