Angelo Masci, curiosità e aneddoti nel secondo centenario della morte

Di Angelo Masci ne porta il nome una tra le principali arterie stradali di Santa Sofia. A lui è dedicata la locale biblioteca civica. Forse ancora poco se non si coglierà appieno la sua eredità: quella di un uomo battutosi per le proprie idee scagliandosi – pericolosamente – contro un sistema giudicato corrotto, contro la povertà (base di ogni male) ma riuscendo alla fine, a scardinare quello stesso sistema. 

Per apprezzare il lavoro di Masci è bene procedere in ordine, cercando quindi di far chiarezza su aspetti della sua biografia, attenendosi alle fonti archivistiche e abbandonando una storiografia Ottocentesca spesso densa di imprecisioni e incongruenze.

A tal proposito bisogna innanzitutto parlare della famiglia, che in effetti non era di Santa Sofia, ma neppure di San Giorgio Albanese – come sostenuto più volte. I Masci erano originari di Pedilati; piccolo casale posto a qualche chilometro da Santa Sofia e in cui la famiglia si era insediata sin dal proprio arrivo in Calabria dai Balcani. Abbandonando a metà del Cinquecento il villaggio di Pedilati (o Pedelati), i Masci e quasi tutte le altre famiglie ivi residenti (come i Russo, i Massaracchio o i Zamandà), si spostarono a Santa Sofia. I Masci tuttavia, ancora per un secolo, mantennero qualche legame con il loro villaggio; sino agli anni venti del Seicento, la famiglia continuò a disporre di una propria sepoltura nella piccola chiesa di Pedilati, a Santa Venere.

Nel XVII secolo gran parte della famiglia Masci aveva le proprie case nei pressi del palazzo dei Vescovi di Bisignano; grossomodo nella zona oggi compresa tra la piazza e via Angelo Masci. Da quello stesso secolo questa zona comincerà a essere denominata dapprima Lo Capo delli Masci, e in seguito Quartiere delli Masci.

Dalla seconda metà del Seicento, Antonio Masci (figlio del reverendo don Conte Masci, e nipote del nonno d. Antonio Masci; anche lui sacerdote e capitano del casale nel 1597) cominciò ad acquistare nel quartiere una serie di casupole, una confinante all’altra, e sulle quali si sarebbero innestate le fondamenta dell’attuale palazzo Fasanella-Masci. Fu in questa dimora che nel dicembre 1758 nacque Angelo. 

Veduta del Largo dei Masci (oggi via Angelo Masci) con scorcio del palazzo Fasanella-Masci in primo piano a destra.

Secondo Antonio Catalano, Angelo andò a Napoli a 12 anni, nel 1770. Qui verrà posto sotto la condotta dello zio materno d. Giuseppe Bugliari, cappellano del Reggimento Real Macedone nella città. La permanenza a Napoli in quegli anni particolari, così come i vincoli familiari che lo legavano a personalità riformiste e rivoluzionarie (primo fra tutti il cugino Pasquale Baffi, martire della rivoluzione Partenopea del 1799) dovettero plasmarne il carattere. Angelo Masci, in effetti, incarna pienamente la figura dell’intellettuale illuminista, e ciò emerge chiaramente dalla sua attività poliedrica. Tra il 1781 e il 1783 è ancora a Santa Sofia, quando da naturalista si cimenta in una relazione minuziosa e dettagliata, dei fenomeni accaduti in quel tempo nel suo paese prima e subito dopo il disastroso terremoto del 1783.

Negli anni Novanta di quel secolo iniziò la sua attività di legale occupandosi, perlopiù, di cause e contenziosi che riguardavano la proprietà terriera e il suo usufrutto. Ma il suo interesse maggiore si esplicò soprattutto nell’avversione verso un sistema feudale giudicato ormai desueto, in cui i diritti e i vantaggi di pochi baroni laici ed ecclesiastici «fan squallide le nostre Provincie» costringendo il popolo alla miseria. Tutto il suo pensiero progressista verrà condensato ed espresso in uno dei suoi più importanti scritti: Esame politico-legale de’ diritti, e delle prerogative de’ baroni, edito nel 1792; proprio cioè, quando il Regno di Napoli aderiva alla “I Coalizione Antifrancese”, volta a frenare e reprimere l’avanzata delle idee rivoluzionarie provenienti d’oltralpe. Quelle stesse idee di libertà e di uguaglianza trovano però largo spazio in quest’opera, in cui l’autore – in anticipo su altri più celebri scrittori cimentatisi sul tema – oltre a fornire uno spaccato realistico della società del tempo, denuncia apertamente le angherie e i soprusi, invocando e auspicando una riorganizzazione agraria la quale, però, sarebbe arrivata soltanto qualche decennio più tardi con le riforme napoleoniche. Un problema, quello collegato alla proprietà terriera, che doveva essere ben noto a Masci. Dal 1781 al 1787, Angelo aveva infatti affiancato il fratello Paolo nella conduzione di tutte le rendite della Mensa Vescovile di Bisignano, dovendosi quindi confrontare inevitabilmente con i contadini e con abusi e vessazioni che gli stessi erano costretti a sopportare.

Al fine di poter aiutare la popolazione a sfamarsi, negli stessi anni, Angelo proporrà di istituire a Santa Sofia un Monte frumentario.

Dal 1787 Angelo sarà poi enfiteuta dei beni della Badia di Santa Maria del Patire di Rossano, occupandosi della gestione di grandi fondi siti tra San Giorgio Albanese sino ad Amendolara.    

Grazie alle sue idee politiche, all’arrivo dei francesi nel Regno, nel 1809 Masci ottenne la nomina di Procuratore generale della Corte d’Appello. Soltanto un anno più tardi, nel 1810, venne incaricato assieme al fratello Paolo, Commissario Reale per le divisioni dei demani per le Province della Calabria Citeriore e per la Basilicata. Tale incarico può considerarsi come l’apice per la carriera di Masci e ciò trova testimonianza in una sua lettera rivolta al Ministro dell’Interno in cui, entusiasta,  dichiarava come «Finalmente queste infelici popolazioni vanno ad escitarsi dal lungo letargo in cui finora sono giaciute».

Nello stesso periodo Masci avrà modo di occuparsi di altri interessi, pubblicando il suo scritto più famoso: Discorso sull’origine, i costumi e lo stato attuale degli albanesi nel Regno di Napoli. Lo scritto venne pubblicato a Napoli nel 1847 dal pronipote di Angelo, il sig. Francesco Masci. Tuttavia sono probabilmente in pochi a sapere che lo scritto venne già pubblicato nel 1807 dallo stesso Angelo, e forse ancora meno, quelli a conoscenza che il suo Discorso fu pubblicato per la prima volta sul Giornale enciclopedico di Napoli di quell’anno, e in due puntate nei numeri 6 e 7 di giugno e luglio. Si tratta di un piccolo trattato di natura demoetnoantropologica, in cui l’autore descrive il popolo degli arbëreshë ripercorrendone la storia, evidenziandone il carattere e le consuetudini in uso tra loro, e fornendo addirittura definiti e peculiari tratti somatici.

Il suo interesse per la storia e in particolare per la storia della sua regione, trova sviluppo in un altro suo scritto poco noto, edito nel 1810. Il piccolo volume s’intitola Sulle vicende della tipografia Cosentina, e raccoglie tutte le opere (tutte quelle rinvenute da Masci) pubblicate a Cosenza dal 1478 al  1738.

Nel 1820, a sessantadue anni, Masci diventa Consigliere di Stato. Un anno dopo, forse temendo per la propria salute, farà testamento nominando erede suo fratello Paolo. Tuttavia, va precisato, come Angelo Masci non morì nel 1821 – come viene erroneamente riportato dalle cronache – e forse neppure per un colpo apoplettico (considerato che la causa della morte non compare nel suo certificato). A denunciarne la morte saranno il calabrese d. Celestino Pace (impiegato dell’Intendenza di Napoli) e il legale d. Francesco Pisgara di Napoli. Don Angelo Masci, ex procuratore Generale della Gran Corte Civile, morì nella sua casa a Napoli, sita in via San Sebastiano 16, alle ore Sette, del 18 agosto 1822. Il 18 agosto di sedici anni prima era stato fatale per lo zio di Angelo, il vescovo greco Francesco Bugliari, assassinato in quello stesso giorno nel 1806; ma questa è un’altra storia…

Atto di morte di Angelo Masci

Giuseppe Baffa, in memoria del prof. Marino Baffa

(articolo pubblicato su: Dita Jote, maggio 2022)